GLI SCOPI DEL SITO
Il sito Workingclass intende essere uno strumento di studio e di ricerca sui temi del lavoro, delle sue condizioni, del suo senso oggi, delle prospettive di ricomposizione sociale, partecipazione e di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori.
La struttura e, soprattutto, la documentazione attualmente presente è un punto di partenza, una sorta di cristallo di agglomerazione, che – se riuscirà a crescere – dovrebbe permettere:
- Una circolazione di informazioni nella forma di documentazione e di commenti
- Una organizzazione della documentazione tale da soddisfare uno studio sui temi trattati da parte di chiunque lo intenda fare e da parte del collettivo che gestisce il sito
- La produzione di vademecum e istruzioni all’uso utili per lavoratori interessati.
Convergenze e conflitti – Francesco Ciafaloni
“Sappiamo che se non si crea uno spazio per l'opposizione in un sistema politico il risultato sarà o a) l'eliminazione reale di ogni opposizione e la sottomissione più o meno totale, o b) la mobilitazione di una opposizione di principio contro il sistema politico – una opposizione contro l'Europa, euroscettica. E in effetti questo sviluppo sta raggiungendo anche la sfera interna ai singoli Stati perché il peso crescente della UE e i suoi effetti indiretti sulla politica interna aumentano i deficit di democrazia e limitano lo spazio per l'opposizione anche nei singoli Stati.”
Peter Mair, Governare il vuoto
La prima bordata di executive orders e lo scontro duro, difficile da accettare, imbarazzante da vedere, con le reti e la stampa di Donald Trump e dei suoi portavoce, subito dopo l'insediamento, ha reso evidente a tutti che le aspettative ottimistiche e le valutazioni concilianti sul nuovo Presidente degli Stati Uniti sono del tutto infondate. In rapida successione sono stati confermati il blocco ai finanziamenti all'Obamacare, la costruzione del muro ai confini con il Messico, il blocco degli arrivi da sette paesi islamici in guerra, il sostegno agli insediamenti illegali di coloni israeliani in Cisgiordania, le tariffe sulle importazioni, gli oleodotti, i vantaggi per chi produce in America, la revoca dei trattati cosiddetti di libero scambio, come promesso in campagna elettorale.
Informazioni sul termine Djihad – Toni Ferigo
Ritenendo di fare cosa utile pubblichiamo in allegato una sintesi di scritti ed articoli sul significato del termine Djihad, di studiosi ed esperti dell'Islam. In particolare facciamo riferimento a Makram Abel, professore all'università di Liegi e consulente dell'UNESCO, e a Bruno Aubert collaboratore della rivista Esprit.
Il termine Djihad è ormai diventato di uso comune per indicare il rapporto tra violenza e Corano: Tv, giornali, dichiarazioni di politici, chiacchiere varie. Un giornale è giunto a titolare la prima pagina “arabi bastardi”. L'inflazione dell'uso della parola non aiuta certo a chiarire , anzi. Contribuisce a creare stereotipi piuttosto che proporre definizioni chiare. Si è giunti persino ad usarla in discorsi politici. Certo, alcuni con qualche conoscenza meno superficiale dell'Islam , sono fuori del coro. Rifiutando l'equazione Djihad- violenza , avanzano l'idea che il vero Djihad sia d'ordine spirituale, una virtù dello spirito piuttosto che un termine militare. Altri, invece, mettono in risalto che Djihad è la guerra santa, la violenza militare esercitata da un Islam a caccia di neofiti che non tiene conto di valori etici universali. Altri ancora lo paragonano alla guerra giusta di San Agostino.
Referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 nella città di Torino (dati statistici) – Riccardo Barbero
Come è noto, nel recente referendum costituzionale il no ha prevalso a Torino con il 53,58 % dei voti validi; la partecipazione alla consultazione è stata del 71,49% degli aventi diritto al voto.
Rispetto ai dati nazionali la partecipazione torinese è stata ampiamente superiore a quella media nazionale che si è fermata al 65,47%, ma sensibilmente inferiore a quella media regionale che è arrivata al 72,03%.
Il no ha prevalso in Piemonte col 56,47% (quasi tre punti percentuali al di sopra di Torino città), mentre a livello nazionale la sua affermazione è stata ancora più netta (59,11%).
La frammentazione del lavoro – Francesco Ciafaloni
“Nel corso della sua esistenza terrena, un'idea, sempre e dovunque, opera contro il suo significato originario e perciò si distrugge” Marianne Weber, Max Weber: A Biography.
La situazione presente
La frammentazione del lavoro, la sua rarefazione, è sotto gli occhi di tutti. Non è svanita solo la fabbrica tayloristica; sono sparite le aziende come enti giuridici che tengono insieme progettazione, produzione, vendita, gestione del personale, contabilità, come era normale qualche decennio fa. Non solo le piccole aziende fanno gestire la contabilità all'esterno, ma ciò che resta delle aziende grandi è tenuto insieme solo dal marchio e dal controllo finanziario. I singoli stabilimenti possono essere entità autonome, con contratti diversi.
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Sindacalismo in Tunisia – Toni Ferigo
L'UGTT, il sindacato tunisino, ha celebrato nel suo congresso , i suoi 73 anni di vita. L'UGTT è la prima centrale sindacale in Africa e nel mondo arabo per numero di aderenti volontari. Ha alle spalle una storia di autonomia anche nei confronti del “padre della Patria”, Burghiba, con cui ebbe non pochi scontri, nonostante la leadership sindacale fosse in maggioranza nello stesso partito di Burghiba. Il suo primo segretario fu assassinato da un gruppo della destra francese.
Nel congresso, il ventitreesimo, si confronteranno due tendenze differenti, ciascuna con una propria lista. La prima , detta consensuale, guidata dall'attuale segretario aggiunto Nurrdin Tabubi, responsabile organizzativo, ha riunito 9 membri della direzione uscente e quattro nuove figure tra cui una donna Samia Letayef, dirigente della federazione nazionale della sanità. La CISL internazionale a cui aderisce l'UGTT ha sempre rimproverato il sindacato tunisino per l'assenza femminile ai vertici, nonostante che il 53% degli aderenti siano donne.
Come il neoliberalismo ha preparato la strada a Donald Trump - Zygmunt Bauman
Il 9 gennaio scorso è morto all’età di 91 anni Zygmunt Bauman sociologo e filosofo polacco di formazione marxista.
Di lui vi proponiamo la traduzione di uno dei suoi ultimi scritti a proposito della vittoria di Trump alle presidenziali della fine dello scorso anno: in esso Bauman denuncia fin dal titolo le gravi responsabilità della politica e della ideologia neoliberista, ma al tempo stesso ci mette in guardia dalla retorica fascistoide di Trump e dei suoi accoliti.
Ricordo ancora vividamente ciò che sempre meno persone, col passare del tempo, possono fare e fanno: le definizioni che Nikita Kruscev, avendo deciso di esporre e di screditare pubblicamente e di condannare i crimini del regime Sovietico per prevenire il loro ripetersi, ha dato alla cecità morale e alla disumanità che sono stati fino ad allora il marchio distintivo di quel regime: egli li chiamò “errori e deformazioni”, commessi da Joseph Stalin nel corso della riuscita implementazione di una politica sana, corretta e profondamente etica.
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Crisi libica: la Russia entra in scena e dichiara il suo sostegno a Haftar – da El Watan
Un vecchio-nuovo attore si appresta ad entrare in scena in Libia e, più globalmente, nell’Africa del nord: la Russia.
Assente nel conflitto libico dal 2011, data in cui aveva deciso di abbandonare Gheddafi, ( voto all’ONU ), la Russia fa ritorno sulla scena libica sostenendo apertamente al generale Haftar, ex alto ufficiale dell’esercito del tempo di Gheddafi, autopromosso a maresciallo da poco tempo.
Già sostenuto dall’Egitto, gli emirati arabi e il Chad, Haftar – ritornato da un viaggio a Mosca su cui pochi elementi sono stati filtrati – non nasconde più l’intenzione di lanciare la sua Armata di Liberazione nazionale in direzione di Tripoli, per prendere il potere con la forza.
Come il parlamento di Tobruk che lo sostiene, rifiuta di riconoscere l’accordo tra le diverse forze libiche di Dicembre 2015.
Il ministro russo degli affari esteri fa pressione perché Haifar abbia un incarico importante nel governo d’unione sostenuto dall’ONU.
Al referendum la spallata dei dimenticati - Guido Bodrato
Il 2016 sarà ricordato come l’anno del referendum che ha cambiato l’orizzonte politico, ma anche come l’anno che ha segnato il ritorno alla politica. Un’affluenza inaspettata – ha votato quasi il 70% degli elettori – ha sconvolto le previsioni di chi si attendeva un plebiscito a favore di Renzi e un sì alla riforma Boschi. Infatti il 4 dicembre il 60% degli elettori ha detto no a una riforma che prometteva di superare il bicameralismo perfetto e di rendere più rapido il processo legislativo, quando, in realtà, si proponeva di rafforzare la personalizzazione della politica e del potere, e di ridurre la centralità del Parlamento a favore dell’esecutivo.
La vittoria del No ha bloccato le riforme? Siamo tornati alla palude?
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Sulle elezioni americane – Riccardo Barbero
Dopo la vittoria di Trump tutti i media si sono precipitati a spiegare le ragioni di questo risultato inatteso.
Il primo aspetto considerato è stato proprio il fatto che i sondaggi non abbiano previsto l’affermazione del candidato di destra: sicuramente gli istituti di ricerca hanno sottovalutato la rimonta di Trump, ma comunque Hillary Clinton ha raccolto circa 650 mila voti in più dell’avversario e i democratici, pur restando in minoranza in entrambe le camere, hanno migliorato sia al senato che alla camera dei rappresentanti i risultati disastrosi dell’elezioni di medio termine del 2014 sotto la presidenza di Obama.
Al senato sono passati da 44 a 46 seggi, mentre i repubblicani sono scesi da 54 a 51; alla camera dei rappresentanti il partito democratico ha ora 193 seggi (7 in più rispetto a prima), mentre il partito repubblicano è sceso da 246 a 239 parlamentari.
La rabbia dei poveri sfruttata dai ricchi – Francesco Ciafaloni
Donald Trump, magnate immobiliare e dei media, conduttore televisivo, uomo di spettacolo, famoso per il suo rapporto problematico con la verità e per le suo opinioni oltraggiose, è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Non è stata una elezione travolgente. Come è noto Hillary Clinton ha avuto molti più voti popolari, anche se ne ha presi vari milioni meno di Obama, mentre Trump ha avuto, più o meno, i voti di McCain, diversamente distribuiti tra gli Stati. A questo proposito si può solo sottolineare la (crescente) patologia del sistema elettorale americano, che, oltre al resto, esclude circa 6 milioni di pregiudicati, rende difficile il voto dei poveri e dei neri (senza più la possibilità di un controllo federale perché la Corte suprema lo ha dichiarato non più necessario), riduce il numero delle sezioni nelle aree ritenute avverse al Governo locale (da cui le code), ridisegna, con lo stesso fine, le circoscrizioni.
La vittoria di Trump è la conferma di tendenze note, non limitate agli Stati Uniti. Le elezioni non si vincono più al centro, adagiandosi sulla continuità, perché la continuità è insopportabile per la maggioranza; si vincono schierandosi. Obama si era schierato. Sanders si sarebbe schierato. Trump si è schierato. E' determinante, negli Stati Uniti e nei paesi a bassa partecipazione, a cui il nostro si è aggiunto di recente, il voto di chi in genere non vota; il voto di protesta; la mobilitazione degli astenuti.
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Milioni di uomini sono fuori dal mercato del lavoro – Riccardo Barbero
Vi proponiamo qui di seguito la traduzione dell’editoriale del New York Times del 17 ottobre 2016 sulla situazione del mercato del lavoro americano per tre ordini di motivi:
- perché è un esempio positivo di giornalismo di informazione critica e documentata molto poco presente in Italia;
- perché mette in evidenza quanto la rincorsa sfrenata alla produttività e alla competizione stia creando un’area crescente di emarginazione sociale che determina un forte aumento di costi umani, sociali ed economici;
- perché ci fa capire quale sarà a breve termine la situazione che interesserà il mercato del lavoro italiano e degli altri paesi europei; in particolare ricorrono in Italia tre caratteristiche individuate dall’articolo per gli USA: un tasso di occupazione giovanile molto basso, un mercato del lavoro prevalentemente maschile e a basso livello d’istruzione .
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